A PALAIA NEL CASTELLO
e nelle botteghe dei notai


Palaia di Valdera fu fondata prima del Mille su una delle strade collinari che dalla Valle dell’Arno e da Firenze portavano a Volterra. Proprio per la sua posizione fu anche un castello ben munito e con una rocca, ora distrutta, dalla quale si sorvegliava un territorio a 360 gradi comprendente il mare e parte della Toscana settentrionale.
La sua storia dei secoli di mezzo (nei tempi più vicini ai nostri), è raccontata da un buon numero di carte d’archivio. Andando a leggerne qualcuna, in modo casuale, senza ambizione di completezza, si trovano nel Trecento diversi notai stabili, cioè che che abitavano in “Palaria”, indizio di un buon giro di affari nel paese e di atti non occasionali rogati per le necessità dei residenti e dei viaggiatori. Ricordiamo tra di loro:

1332: ser Bernardo del fu Teghino
1347: ser Paolo di Domenico
1367 e 1388: ser Guido di Baroncino
1367: ser Giovanni del fu Simone di Ianni
1389: ser Piero del fu Cambio
1395: ser Antonio del fu Dino di Vanni
1413: ser Giovanni del fu ser Alamanno, che scrisse nella sua pergamena di una casa solariata con due solai e mezzo posta nell’antiporto del castello di Palaia in luogo detto “Altiburo” (= Al Tiburio ?), a confine con le mura dello stesso antiporto e i beni di Lencio di Filippo maestro “lapidum et murorum” (= di pietre e di muri).


Tra i sopra citati, un notaio dalla bella scrittura, che si legge con piacere, fu ser Antonio di Dino di Vanni.
Rogò una carta nel marzo 1395 su una vicenda di crediti con protagonista Piero del fu Corsino detto Bargianello da Palaia della cappella di San Lorenzo alla Rivolta di Pisa.
Su commissione di Barduccio del fu Giunta di Fallera della cappella di San Luca, in nome proprio e di Cino suo fratello, secondo la carta di ser Corrado notaio del fu Ricciardo notaio di Rinonico, cittadino pisano, rogata il 13 novembre 1372, l’uomo prese possesso di un pezzo di terra a Palaia spettante all'eredità giacente del calzolaio Domenico del fu Cecco.
Il motivo era la somma di fiorini 70, ricevuta a mutuo da Domenico il 19 marzo 1390, per rogito di ser Giovanni notaio del fu Andrea Ciampoli, cittadino pisano.
Per questo Piero nel 1395 fu messo in corporale possessione di un appezzamento del calzolaio a Palaia, confinato con un capo in via vicinale, l'altro capo nel fosso della “terra” (fossato delle mura), un lato nei beni degli eredi di Giovanni di Colino, l'altro lato in quelli di Giusto di Manno da Palaia.
Il notaio scrisse la carta in loco, presenti i testimoni Mone e Vanni del fu Masino. Fece seguire una specie di rituale giuridico per dare maggior forza al credito.

Presso l’abitazione castellana del calzolaio, nella quale prima della sua morte aveva consuetudine di stare con famiglia e masserizie – si scrive –, Piero, ad alta voce, “denuntiavit” (= dichiarò) quanto avvenuto con “publice proclamatione heredibus supradicti Dominici si heredes sunt et si heredes non sunt ...”, agli eredi di Domenico, se pure vi fossero stati o non vi fossero stati – i quali avrebbero potuto adire o meno le vie legali per l’eredità giacente.

Il giorno dopo ser Antonio passò a tutt’altra faccenda e rogò la procura di Caccia del fu Gherardo del popolo di San Paolo a Ema, contado di Firenze, dimorante nel castello di Palaia, a favore di sua moglie Masa figlia del fu Francesco di Cambiuzo da “Antenna” (sic) sempre nel contado fiorentino.
Il motivo questa volta fu la volontà del marito di far decidere a Masa se affittare o alienare-vendere i suoi beni in qualunque modo lei ritenesse opportuno.
La carta fu scritta nella casa del notaio in Mercatale – che era a metà della via principale di Palaia –, presenti Piero di Menico del posto e Piero Martinelli di Casole, contado senese, qui dimorante.


Presenta invece una scrittura più frettolosa, una terza pergamena del gennaio dello stesso anno, rogata dal notaio ser Guido del fu dom. Iacopo del Pattiere procuratore e sindaco del Comune di Pisa. Vi si dice come il Comune stesso venda e consegni a Barone di Piero da Palaia “cabellam et dirictum vini et carnium terre Palarie” (la gabella e il diritto sul vino e sulle carni) per un anno e per il prezzo di lire 381 soldi 2 e denari 6.
Ovvero Barone ebbe la pubblica concessione di far pagare alle porte del castello una tassa su tutto quanto entrava o usciva (non è detto) in vino e carne. Il che ci fa vedere Palaia nel medioevo anche nell’aspetto di un centro commerciale redditizio e interpretare il Mercatale come luogo di raduno di compratori e venditori provenienti da luoghi più o meno vicini.
Rogò la carta ser Piero del fu ser Betto da Calcinaia.
Di altra mano invece i pagamenti di Barone all’esattore della Camera della Gabella Maggiore del Comune di Pisa assolti in tre rate.

Paola Ircani Menichini, 18 giugno 2021.
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– Veduta di Palaia dalla rocca (non più esistente), foto di P.I.M., 2021.

– Il segno del notaio ser Antonio di Dino di Vanni.

– Un bel tabernacolo di stile robbiano con Maria che adora il Bambino sul muro di una casa di Palaia, foto di P.I.M., 2021.

– Le mura e il campanile della chiesa di Santa Maria presso la porta Fiorentina, foto di P.I.M., 2021.


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